Madri Coraggio siciliane: “Mamma carnalivari” nel romanzo di Franco Blandi
“Perché io sono colei che è prima e ultima
Io sono colei che è venerata e disprezzata,
Io sono colei che è prostituta e santa,
Io sono sposa e vergine,
Io sono madre e figlia,
Io sono le braccia di mia madre” (…)
L’Inno a Iside, risalente al III-IV secolo a.C., rinvenuto a Nag Hammadi, in Egitto contiene in sé tutto il senso e la potenza del mito della Grande Madre siciliana: Iside è il nome della Madonna Nera di Tindari e Iside è il nome con il quale potremmo chiamare certe madri siciliane che hanno fatto la storia, la più encomiabile, coraggiosa e bella, della nostra terra.
La mitologia ci racconta che dall’Homo sapiens, e per moltissimo tempo (dal 30.000 a.C. fino ad almeno al 3.000 a.C.), l’umanità ha fatto ricorso alla “Dea Unica”, e che è solo dopo il 3.000 a.C. che si sostituisce nell’immaginario collettivo la figura del Dio maschio, ma forse non è valso per la Sicilia, dove il matriarcato è vivo e vegeto in tutte le sue accezioni, positive e negative, e potremmo citare in primis il nostro Sciascia che di questo aspetto culturale siciliano ci ha lasciato pagine memorabili, ma anche Roberto Alaimo che con il suo “Cuore di madre” ci ha raccontato la potenza dell’amore materno fino all’estremo. Il mito siciliano pare sia autoctono e risalirebbe all’età arcaica; la sua specificità sta nell’assoluta assenza dell’elemento maschile nell’atto di creazione del cosmo: fu il sorriso della Dea, secondo il racconto di Diodoro Siculo, a generare il mondo.
Quel sorriso, nelle sue declinazioni più dolci e dolorose, splende nella memoria delle madri di quei figli uccisi da mano mafiosa che non finiamo mai di ricordare e di onorare, come nell’ultimo libro di Franco Blandi, pubblicato da Navarra Editore che il prossimo 16 maggio sarà presentato in anteprima presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana a Palermo: “Francesca Serio. La madre“. Il romanzo-verità è dedicato alla prima donna siciliana che ebbe il coraggio di denunciare apertamente i mafiosi, responsabili dell’uccisione del figlio Salvatore Carnevale, trucidato proprio il 16 maggio del 1955.
Salvatore Carnevale fu un coraggioso sindacalista nemico di ogni forma di sopruso e di prepotenza. Fondatore della sezione socialista del paese di Sciara ed attivista della locale Camera del Lavoro, si era battuto contro i privilegi dei latifondisti ed in favore dei diritti dei lavoratori. Prima di lui, erano stati uccisi tanti altri coraggiosi sindacalisti: da Accursio Miraglia a Placido Rizzotto, da Nicolò Azoti ad Epifanio Li Puma, da Giuseppe Casarubbea a Calogero Morreale.
Secondo Lo Monaco, «l’uccisione di Carnevale segnò simbolicamente il passaggio della mafia dalle campagne alla città. Dal feudo alle cave, dalla lotta per la terra alla difesa dei diritti sindacali, fu un processo continuo di emancipazione fondata sull’organizzazione moderna degli sfruttati. Carnevale fu ucciso mentre si recava nella cava dove aveva iniziato una dura lotta sindacale per il rispetto delle otto ore giornaliere di lavoro». Sulla stessa lunghezza d’onda, l’intervento di Cantafia: «I nostri sindacalisti furono uccisi perché si opponevano alla mafia ed al latifondo, lottando per i diritti dei contadini e dei lavoratori. La contrapposizione della Cgil contro la mafia è secolare. Come la Resistenza antifascista, anche l’antimafia è una battaglia di libertà e democrazia».
Ma nel libro di Franco Blandi la storia di Salvatore è raccontata “con gli occhi e con il cuore” della madre, Francesca Serio: è lei che ci parla della sua vita di contadina tra i campi con un figlio da crescere, delle sue lotte per la terra contro il potere del feudo e dei mafiosi, delle battaglie del figlio per dare dignità ai contadini, infine della barbara uccisione di Turiddu e dell’incessante ricerca di giustizia che animerà tutta la sua esistenza. Un romanzo storico che attraverso il racconto di Francesca, apre una finestra sulle condizioni di vita del mondo contadino nel secolo scorso. Francesca, originaria di Galati Mamertino, un piccolo paese arroccato sui Nebrodi, separatasi dal marito e con il figlio ancora in fasce, si trasferì con la sua famiglia a Sciara, nel palermitano, seguendo un flusso migratorio interno che in quegli anni portò migliaia di braccianti e contadini a lavorare nei feudi delle famiglie nobili palermitane. Alla ricerca di nuove opportunità e di un futuro per suo figlio, lei e suoi familiari trovarono lavoro nei terreni della principessa Notarbartolo, feudataria della nobile famiglia palermitana. Donna e madre, non rifiutò mai nessun tipo di lavoro, anche il più pesante o poco adatto alle donne: zappava la terra, mieteva il frumento, caricava i sacchi sui muli, potava gli ulivi, raccoglieva olive, fave, piselli, carciofi, qualunque lavoro pur di raggiungere il suo obiettivo, quello di essere autonoma e crescere il giovane Salvatore, anche lui, fin da piccolo, lavoratore instancabile.
Subito dopo la Seconda guerra mondiale, il giovane Salvatore, sull’onda degli ideali del socialismo, cominciò a occuparsi dei problemi dello sfruttamento dei lavoratori ad opera dei soprastanti a servizio della famiglia Notarbartolo. Grazie alla sua attività in difesa dei contadini, dei braccianti, degli sfruttati, riuscì nell’intento di far applicare la legge di riforma agraria. Questo, però, causò la reazione dei mafiosi che videro venir meno il loro storico potere. Attraverso minacce e lusinghe cercarono di fermarlo, senza successo.
La mattina del 16 maggio del 1955, Salvatore Carnevale fu barbaramente trucidatomentre si recava al lavoro. Da quel giorno Francesca Serio, sua madre, dedicò la sua vita alla ricerca di verità e giustizia. Non esitò a denunciare le minacce ricevute al figlio dai mafiosi del paese e a indicarli come autori dell’assassinio.
Il sindacato, i partiti della sinistra, seppure con una consapevolezza arrivata in ritardo circa l’importanza delle solitarie battaglie di Carnevale, non fecero mancare il loro sostegno a Francesca durante i processi. Lo stesso giovane e combattivo socialista Sandro Pertini fu tra i primi a giungere a Sciara il giorno del delitto, e non esitò a restare al fianco di Francesca anche quando divenne Presidente della Repubblica.
Dopo una prima sentenza che condannò all’ergastolo i 4 imputati, come spesso succedeva in quegli anni, i mafiosi furono assolti in appello e in cassazione. Ciò nonostante, Francesca, non attenuò mai il suo impegno, fino agli ultimi giorni della sua vita, alla ricerca della verità, in onore dell’eroico sacrificio del suo amato Turiddu.
L’autore ricostruisce le vicende in maniera puntuale, attraverso la voce della stessa Francesca Serio che nel romanzo narra le vicende che l’hanno vista coinvolta, suo malgrado. I fatti, i personaggi, le circostanze, sono assolutamente reali. Uno spaccato della storia delle lotte dei contadini in Sicilia, i quali, spesso in solitudine, hanno pagato prezzi elevatissimi per affermare i più elementari diritti, contro lo strapotere padronale e mafioso. Una forma di racconto originale, in equilibrio tra fonti storiche e romanzo, che restituisce la dimensione più intima della vita di Francesca Serio, “Mamma Carnevale”, la madre coraggio, oggi, spesso, dimenticata.
“Ancilu era e non aveva ali”: come scrive Salvatore Parlagreco in uno dei suoi libri dal titolo “Le mafie”, la morte, per mano mafiosa, del sindacalista Carnevale è anche cantata dal più famoso poeta dialettale siciliano, Ignazio Buttitta. I fatti più drammatici dell’Isola hanno trovato nei versi di questo poeta straordinario il loro passionale interprete. Ma non solo gli avvenimenti siciliani: Buttitta partecipò alla Resistenza, subì l’arresto e il carcere, e cantò pure questo importante momento della Storia d’Italia. La sua poesia è stata portata nelle piazze italiane da Ciccio Busacca, il più noto cantastorie siciliano che insieme a Buttitta ha avuto il grande merito, tra gli altri, di aver reso protagonisti i contadini nella lotta di emancipazione economica duramente contrastata dai latifondisti e dal loro braccio armato, la mafia. Il “Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali” è una “composizione di carattere popolare i cui primi esempi sono nella Bibbia”, scrive ancora Parlagreco, “seguiti dalla poesia religiosa umbra” e, proprio a quest’ultima, al Pianto della Madonna di Jacopone da Todi, si possono accostare i versi di Buttitta. “Si prenda la parte dialogata, il vibrante colloquio di Salvatore Carnevale con la madre Francesca: la continua ripetizione di Figghiu-Matri riecheggia quella di Jacopone tra la madre-Madonna e il figlio-Cristo”:
(…)
Gridava: «Figghiu!» pi strati e vaneddi
la strangusciata matri chi curria
versu lu mortu a stramazzamareddi,
a fasciu di sarmenti, chi camìa
dintra lu furnu e ventu a li purteddi:
«Curriti tutti a chianciri cu mia!
Puvireddi, nisciti di li tani,
morsi ammazzatu pi lu vostru pani!».
(…)
Figghiu, chi dicu, la testa mi sguazza,
ah, si nun fussi ppi la fidi mia,
la sucialismu chi grapi li vrazza
e mi duna la spranza e la valìa;
mi lu ‘nzignasti e mi tinevi ‘n brazza
ed iu supra li manu ti chiancia,
tu m’asciucavi cu lu muccaturi
iu mi sinteva moriri d’amuri.
Tu mi parravi comu un confissuri
iu ti parrava comu pinitenti,
ora disfatta pi tantu duluri
ci dugnu vuci a li cumannamenti:
vogghiu muriri cu’ ‘stu stissu amuri
vogghiu muriri cu’ ‘sti sintimenti.
Figghiu, ti l’arrubbau la bannera:
matri ti sugnu e cumpagna sincera!
Le musiche di questa storia sono state scritte da Nonò Salamone. Come racconta lui stesso, una sera, avendo saputo che in un paesino in Provincia di Enna si esibivano Cicciu Busacca e Ignazio Buttitta, li volle raggiungere e pregò Busacca di fargli cantare la storia di Turiddu Carnevale che lui stesso aveva musicato; lui acconsentì e, quando Nonò finì di cantare, si accorse che Busacca piangeva.
Il 16 maggio, in Biblioteca, dialogheranno con l’autore: Carlo Pastena, (Direttore della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana), Pippo Oddo (Scrittore e storico del movimento contadino), Fabio Cannizzaro (Circolo Nebroideo Socialista Indipendente “Italo Carcione”), Ottavio Navarra (Editore). Letture di Oriana Civile (Attrice e cantante).
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