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Recensione sulla Rivista "Il Cantastorie del Prof. Mauro Geraci

Grazie al prof. Mauro Geraci, docente di Discipline Demo-Etno-Antropologiche all'Università di Messina, per la lusinghiera recensione di "Francesca Serio. La madre" sulla rivista "Il Cantastorie". Le parole che ha usato, gli apprezzamenti e la profondità delle sue osservazioni, mi hanno imbarazzato e commosso.

Dalla Rivista "Il Cantastorie"
FRANCESCA SERIO: MADRE CONTRO OGNI MAFIA
Sul recente “romanzo-saggio” di Franco Blandi
relativo alla tragica morte del sindacalista siciliano Salvatore Carnevale, socialista

di Mauro Geraci

A chi s’avventura tra le righe del recente libro di Franco Blandi, fotografo, documentarista, scrittore siciliano d’altissimo impegno, straordinarie sorprese rivelerà ancora la vita di Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale, il giovane sindacalista socialista ucciso dalla mafia a Sciara, piccolo paese in provincia di Palermo, il 16 maggio 1955. Il primo di una lunghissima serie di omicidi tesi a eliminare dalla faccia della terra, non solo siciliana, eccellenti, coraggiosi sindacalisti quali Carmine Battaglia, Epifanio Li Puma, Placido Rizzotto fino a Pio La Torre. Sorprese ancor più apprezzabili visto che le tragiche storie di Francesca e Salvatore sono state, nei decenni scorsi, oggetto d’una notevolissima ripresa letteraria e cinematografica: dal capitolo centrale di Le parole sono pietre (1955) in cui è Carlo Levi a raccogliere le denunce di Francesca all’indomani dell’attentato, al celebre Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali composto dal poeta Ignazio Buttitta per la voce di Cicciu Busacca, cantastorie come Franco Trincale che, sullo stesso assassinio, compose Ballata di lupara, fino al primo film dei fratelli Taviani centrato sulle lotte del giovane sindacalista, Un uomo da bruciare (1962). E sebbene rigogliose si siano succedute sino ai nostri giorni le indagini giornalistiche e storico-politiche sulla vita emblematica e sull’eliminazione di Salvatore Carnevale – penso al puntuale lavoro di Umberto Ursetta su Salvatore Carnevale. La mafia uccise un angelo senza le ali (2005) – la recente opera di Blandi risulta oggi originalissima, sotto numerosi punti di vista.

Anzitutto per il tipo di progetto narrativo attraverso cui lo scrittore restituisce voce nuova alla madre di Salvatore, Francesca Serio, che, nonostante sia scomparsa a Sciara il 16 luglio del 1992, può tornare oggi a raccontare in prima persona la sua vita bracciantile, l’abbandono del marito, la solitudine con un figlio sulle spalle da sfamare, la miseria, l’emigrazione interna da Galati Mamertino nel Messinese fino a Sciara nei terreni dei Notarbartolo, e quindi le lotte per la terra e le occupazioni contro gli strapoteri della mafia del feudo, le battaglie crescenti del figlio, la sua uccisione e la ricerca di giustizia che animerà tutta la sua esistenza. A dare forza, originalità, commozione alle parole della madre non è, tuttavia, il solo dramma personale, familiare e sociale che, attraverso la scrittura di Blandi, lei può raccontare post mortem ai più giovani, sempre che siano disposti a levarsi per un attimo le cuffiette e ad alzare gli occhi dallo smartphone. Blandi, in altri termini, non restituisce alla madre di Salvatore solo la parola e la penna per mettere per iscritto il suo personale dramma. La straordinaria potenza delle parole della madre qui è data dal fatto che esse contemporaneamente rinviano, fanno proprie e riflettono al lettore, in forma partecipata e sintetica, tutte le acquisizioni archivistiche, giudiziarie, storiche, antropologiche, politiche che, in questi decenni, studiosi, giornalisti, magistrati e poeti hanno rilevato sull’insorgenza della mafia nella Sicilia aristocratica e rurale, specie dal secondo dopoguerra. La parola che Blandi restituisce a Francesca Serio è potentissima proprio perché non è solo la sua, quella della madre che piange il figlio trucidato, ma anche quella dell’osservatrice che, con altissima sensibilità, competenza, raccoglie e diffonde le voci di chi, in questi decenni, ha continuato a lottare con lei per svelare e denunciare il fenomeno mafioso. Leggere la rediviva Francesca Serio significa entrare in contatto con una narrazione potentissima, polifonica, sapiente nella sua immediatezza e semplicità; è come leggere, tutti in una volta, centinaia di libri che parlano della mafia e dei condizionamenti capillari, sottili, onnipervasivi, intimi e infidi che questa ha nociuto a intere generazioni di siciliani e non.

In questo senso l’opera di Blandi è originale perché travalica forme letterarie ormai consolidate sin dall’Ottocento: il “romanzo storico”, il “romanzo inchiesta”, il “romanzo epistolare”, le storia di vita in forma di “diario” o “autobiografia”. Quello di Blandi è un prodotto nuovo: un romanzo con le note a piè di pagina, un “romanzo saggio” potremmo definirlo che, attraverso i pensieri e le azioni della madre, apre una finestra sulle condizioni di vita, sulle paure, sulle miserie, sulle precarietà come sulle dignità e sulle combattività che - per riprendere concetti cari a Ernesto de Martino, a Friedrich G. Freedmann come a Luigi M. Lombardi Satriani – contraddistinguono il mondo contadino del Sud tra Otto e Novecento.

Così, con quello stesso italiano dialettale che usava nelle sue denunce e che Blandi riprende alla perfezione, Francesca descrive i più piccoli gesti della vita quotidiana, le monotonie domestiche, le pesantezze dei lavori agricoli, i sacrifici e i sogni rispetto a una realtà difficile a cambiare nei rapporti di classe, nelle ingiustizie, negli abusi, negli strapoteri. Giorno per giorno ci racconta come il giovane Carnevale cominciò a rendersi conto e a sensibilizzare i braccianti sulle inaudite condizioni di sfruttamento arbitrariamente imposte dai campieri, i soprastanti a servizio dei Notarbartolo che risiedevano lontano, negli alti palazzi della Palermo bene; come, sull’onda degli ideali socialisti, si battesse con crescente coraggio affinché le acquisizioni della riforma agraria venissero rispettate. Da qui, la Francesca di Blandi, segue passo passo la reazione dei mafiosi che vedevano a poco a poco il terreno scivolare sotto i loro piedi e, quindi, gli sguardi taglienti, gli avvertimenti allusivi che presto si trasformarono in minacce vere e proprie, in intimidazioni che non fecero presa sul giovane Turiddu per il quale, il 16 maggio 1955, si ricorse quindi alla pena di morte, inferta dai mafiosi locali che lo vollero abbattere a colpi di lupara in contrada Cozze Secche, mentre si recava al lavoro. Così Ignazio Buttitta, grande poeta-cantastorie di Bagheria che, assieme a Carlo Levi, subito accorse ad abbracciare la madre, ricorda la solennità del socialismo contadino portato avanti da Turiddu che ora si staglia sull’alba di un nuovo Calvario siciliano:

Sidici maju l’arba ‘n celu luci
e lu casteddu javutu di Sciara
guardava lu mari chi straluci
comu ‘n artari supra di na vara
e tra mari e casteddu una gran cruci
si vitti la matina all’aria chiara
Sutta la luci un mortu e cu l’aceddi
lu chiantu ruttu di li puvareddi.

Da quel giorno Francesca Serio dedicò tutta la sua vita alla ricerca della verità e della giustizia denunciando le minacce ricevute dal figlio e additando i mafiosi del paese quali autori del delitto. Il sindacato, i partiti di sinistra, resisi conto della solitudine in cui Carnevale combatteva le sue battaglie, non fecero mancare il loro sostegno a Francesca durante i processi e il giovane Sandro Pertini fu tra i primi a giungere a Sciara nel giorno del delitto, restando al fianco Francesca durante i lunghi anni del processo. Processo che nel ‘61 condannò all’ergastolo quattro imputati (l’amministratore del feudo Giorgio Panzeca, il magazziniere Antonio Magiafridda, il sorvegliante Luigi Tardibuono, il campiere Giovanni Di Bella) poi, come troppo spesso successe da quegli anni in poi, nel ‘63 assolti in appello e cassazione per insufficienza di prove. Della fase processuale, dando voce e penna al racconto di Francesca, Blandi ricostruisce le attese, le intese, gli sguardi, i timori, le pressioni, le tensioni sentimentali, le azioni e reazioni che svelano quel cemento grigio, omertoso e silenzioso che costituisce il connettore profondo dell’agire mafioso.

Alla fine dei conti, proprio inseguendo l’”effetto di estraniamento” già caro ai trovatori e ai cantimpanca (bänkelsänger) della Germania medievale cui s’ispiro Bertolt Brecht; ricercando il “sentire da una certa distanza” di Giovanni Verga, Leonardo Sciascia, Elio Vittorini e del realismo letterario meridionale da Levi a Pasolini e Consolo; provando a “fare il poeta in piazza” come Buttitta, Busacca, Trincale e i grandi cantastorie di Sicilia, Franco Blandi riesce magistralmente a sottrarre se stesso alla difficile e, per forza di cose, narcisistica posizione di autore-romanziere, facendosi sostituire del tutto da Francesca che, narrando a se stessa e di se stessa, tra fonti storiche e romanzo, assurge a Madre nuova, sofferta e sapiente, che infonde nuova linfa a chi oggi, come Cristo e Salvatore, si adopera a stroncare al suo insorgere le infime novità d’ogni mafia.

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